mercoledì 30 dicembre 2009

CAPITOLO 2

L'INCONTRO CON VALENTIN

La Victoria, sapore di casa subito, intorno ho le feste di tutti, sulle spalle la fatica di un viaggio che è appena finito e di fronte l’entusiasmo di un viaggio che ancora deve cominciare, tutti parlano con me, in una lingua che non capisco ancora del tutto, rispondo in spagnolo maccheronico, improvvisando, ma mi capiscono lo stesso, facciamo le scale e tutti vogliono portare le mie valigie, arriviamo finalmente in casa e non mi accolgono come se mi accogliessero in casa loro ma mi accolgono come se mi accogliessero in casa mia. Sono spaesato, come non lo ero mai stato prima in vita mia e, contemporaneamente, sono maledettamente a mio agio. La casa è bella e pulita, sebbene da fuori non desse quell’impressione, ma dentro si sta veramente bene ed è, per la verità, pure più grande di casa mia! Dalla finestra si vedono diverse paia di vecchie scarpe da ginnastica appese ai fili della corrente che dondolano come frutti maturi che stanno per cadere ma invece sono lì da chissà quanto e non cadranno ancora per molto tempo e sembro notarle solo io. Più avanti, alla mia quantomeno legittima domanda sul perché di quella stranezza, mi daranno due possibili versioni della spiegazione: c’è chi sostiene che per le strade di questo vecchio vecchissimo lontano ovest si aggirino banditi pericolosi con la pistola per rapinare i malcapitati passanti ma che spesso, trovandosi in una città perlopiù povera, i passanti siano senza un soldo e la frase “o la borsa o la vita” pare non avere molto senso se uno la borsa non ce l’ha, ma risulta anche comprensibile che a uno che per vivere fa il borseggiatore gli girino le palle a continuare a rapinare gente senza una lira e allora, non potendo rubarti niente, il rapinatore incazzatissimo ti leva le scarpe le lega insieme coi lacci e le butta sui fili della corrente in modo che non te le puoi riprendere in nessun modo, un po per fartela pagare che gli hai fatto perder tempo, chè lui stava lavorando, un po per sfregio e un po per sfogarsi. C’è poi invece chi giura che la storia sia completamente diversa e veda protagoniste due squadre di calcetto che si sfidano a pallone per la via, scommettendo del denaro che i perdenti daranno ai vincitori; indipendentemente da come finisca la partita ci saranno sempre tutti i componenti della squadra perdente che dovranno dare il denaro scommesso ai componenti della squadra vincente e indipendentemente da quale che sia la squadra perdente, ci sarà sempre qualcuno senza un soldo in tasca che a quel punto, per regola, dovrà dare all’avversario le sue scarpe; a questo punto se l’avversario è fortunato e ha lo stesso numero di piede, si terrà le scarpe e se no, le legherà insieme pei lacci e le getterà sui fili della corrente! Quale che sia la versione reale, entrambe mi hanno fatto morir dal ridere ed entrambe mi hanno fatto venire i brividi. Ma dentro casa si sta benissimo, è un nido sicuro e confortevole e posso rilassarmi. L’accoglienza è calda, mi sento davvero in famiglia, e da subito c’è un buon feeling con tutti e mai, da parte di nessuno, sento un pizzico di freddezza o di quell’educazione di circostanza che mette a disagio e usciamo subito di nuovo, a far la spesa per il pranzo, anche se per me potrebbe essere la cena visto come sono fuso dal fuso, ed è di nuovo strada ed è di nuovo follia, e adesso è Jhovana, la sorella maggiore, la padrona di casa, che mi fa da cicerone in macchina e che non la smette di parlarmi, farmi domande, complimenti, battute e sorrisi ed è così bello essere al centro dell’attenzione, è così bello sentire la sua voce così vicina, così rassicurante e così musicale, e intanto Lima cambia continuamente paesaggio fin quando arriviamo in un centro commerciale che sembra Europa e compriamo da mangiare e da bere e torniamo a casa e le donne cucinano ed è pranzo con vino rosso preso in mio onore chè loro non sono tanto da vino e invece io , essendo italiano, sì. E poi le donne sparecchiano mentre sento che il telegiornale racconta del traffico impazzito di Lima e non mi sembra vero che la TV è d’accordo con me e non sono io il pazzo e dice che il servizio autobus selvaggio così come è concepito adesso, presto dovrà sparire e che c’è anche il progetto di fare una metropolitana a Lima che cambierà radicalmente le cose e mi sembra una cosa buona tutto sommato ma invece Edwin mi dice che domani in viaggio potremo avere dei problemi chè gli autisti degli autobus fanno sciopero per questa cosa e qui uno sciopero è una cosa seria!, e dopo che le ragazze si sono preparate siamo di nuovo fuori. Andiamo a trovare mio suocero. È arrivato il momento in cui mia moglie mi presenterà a suo padre; la mamma l’avevo già conosciuta chè era venuta in Italia al nostro matrimonio ed era stato bellissimo conoscerla, l’anno prima, che lo spagnolo lo parlavo e capivo ancora di meno di adesso e lei naturalmente non sapeva una parola d’italiano ma eravamo andati d’accordo lo stesso, credo di esserle piaciuto e lei, di sicuro, mi è piaciuta moltissimo, sorridente e solare come la sua Pampas, fotogenica e tradizionale come una cartolina, forte e caparbia e al tempo stesso delicata e fragile, con la scorza dura di chi ha partorito e cresciuto una dozzina di figli in condizioni non propriamente agevoli e coi pori che trasudano la tenerezza di chi quei figli li ama tutti e che lo stesso, ha ancora molto amore da donare, donna d’altri tempi che da una vita si alza tutti i giorni prima dell’alba e che si è dedicata sempre e solo alla casa e alla famiglia, e con un gran senso dell’umorismo oltretutto che è una delle sue caratteristiche che mi piace di più e che più mi ha permesso di trovarmi a mio agio con lei nonostante avrebbe potuto esserci quell’imbarazzo tra suocera e genero che si crea quando nel mezzo c’è un muro come può esser quello della lingua, imbarazzo che grazie a lei non c’è stato, perché mi ha permesso di essere sempre naturale con lei, sempre me stesso, mi ha sempre permesso di rivolgermi a lei senza che dovessi crearmi problemi sebbene ho sempre cercato di portarle tutto il rispetto che si merita; e adesso è il momento di conoscere il papà. Sta a Campo Fè che, mi dicono, è il cimitero più bello e grande e costoso pure, di tutto il Perù e infatti le 2 figlie che lavorano in Italia ci hanno messo 2 anni, di euro, per pagargli il posto lì. E via e siamo di nuovo in macchina tra il traffico impazzito e non mi ci abituo ancora e la gente ci ferma ai semafori e compriamo la cana pura che è canna da zucchero da ciucciare che praticamente è puro zucchero ed è buonissima, ci fermiamo a prendere fiori e coca cola chè la coca cola gli piaceva tanto a papà Valentin e va messa sulla tomba e quando arriviamo a questo cimitero mi rendo conto che non avevano esagerato nel descrivermelo: si entra in macchina da tanto è grande e le strade all’interno del cimitero hanno nomi come le vie e sono a due corsie carrabili e ci mettiamo un po ad arrivare alla zona dove sta sepolto mio suocero e quando ci arriviamo vedo che davvero, nonostante questa maledetta pioggerellina che non la smette di scendere, è bellissimo, prati sconfinati e grandi fiori colorati dappertutto e quando arriviamo alla tomba, però, ho un attimo di imbarazzo, sto per conoscere il padre della mia sposa, credo sia un momento che ti mette, se non paura, quanto meno un po di soggezione, credo che sia così un po per tutti ma non lo so per certo chè io quel momento non l ho mai vissuto, non fino ad ora, e sto per viverlo ora, mi chiedo se mi giudicherà e se sarà contento o meno della scelta della figlia e, davanti ai fiori del suo sepolcro, dico una preghiera, cosa che io non faccio mai per la verità, ma non è un eterno riposo, è un discorso di presentazione. Mi sto presentando a lui dopo avergli già sposato la figlia. È una situazione, se non difficile, quanto meno delicata. Mentre sono assorto nei miei pensieri mi accorgo che intorno a me non c’è tristezza, non c’è il silenzio che si è soliti sentire nei cimiteri italiani, non c’è odore di morte e, in poche parole, non sembra nemmeno di essere in un cimitero, sembra piuttosto di essere in un parco, in un bellissimo parco dove la domenica le famiglie si ritrovano approfittandone per salutare un parente, e non per questo è meno sacro. E così mi rilasso di nuovo. Mia moglie mi abbraccia un attimo. Forse ha capito cosa stavo facendo. Insomma è andata bene. Credo di essere piaciuto anche a papà.

CAPITOLO 1

LIMA: PRIME IMPRESSIONI

Ma ricominciamo dall’inizio, da Lima fior di Cannella, la Capitale del Perù e la Regina del Caos, radici Inca quasi invisibili ma ricordate con orgoglio e impronte spagnole a tratti predominanti e a tratti rinnegate, ormai confuse tra di loro, capitale politica e commerciale, Metropoli e Baraccopoli insieme, città che alterna palazzi ricchi e moderni a case di terra e fango, baracche di poveretti a edifici coloniali lasciati in eredità dallo stupro spagnolo, sfarzose chiese appariscenti a scene di povertà disarmante, città di turisti e criminali, ambulanti e vagabondi, famiglie di gente onesta, famiglie di brava gente umile e ospitale, lavoratori instancabili e lavoratori stanchi, uomini e donne che hanno lasciato casa per venire qui a cercar fortuna e non l'hanno trovata e uomini e donne che la fortuna l'hanno pure trovata, l'inizio del mio viaggio, inizio che arriva dopo un viaggio che definire allucinante è poco se si pensa che ci vuol un’ora e mezza da casa mia per raggiungere l’aeroporto di Malpensa e in aeroporto ci devi arrivare tre ore prima dell’imbarco e poi 13 ore TREDICI sull’oceano fino al Brasile seduti SEDUTI sì perché eravamo nell’ultima fila e il sedile dell’ultima fila non si può reclinare e c’è la tv sì ma non ci sono le cuffie ma tanto i film erano in lingua portoghese e quindi 13 ore a guardare film in portoghese senza audio che io in aereo, seduto per di +, non ci posso dormire e poi il Brasile dove devi ripassare di nuovo tutti i controlli e i controllori c’hanno la mascherina perché in giro c’è l’influenza suina e c’hanno pure il coraggio di farti compilare un modulo in cui ti chiedono se l’influenza suina cell’hai o ti senti che ti sta per arrivare e se ti senti qualche sintomo tipo la stanchezza o se ti senti raffreddato che fa niente se non dormi da ieri, fa niente se è notte da 13 ore e l’alba è ancora lontana e fa niente se sull’aereo c’era un’aria condizionata da cella frigofera, non ti venga in mente, per carità, di rispondere che sei stanco o raffreddato perché ti tengono lì, per via del contagio, certo. Ma a noi non ci viene in mente e ripartiamo, siamo mia moglie Judy, mia cognata MariaLuisa e io e dobbiamo farci altre 5 ore di aereo sull’Amazzonia e questa volta qualche mezzora qua e là, svenuto più che addormentato, me la sono pure fatta.

E poi, finalmente, Lima. Finalmente un cazzo perché, a onor del vero, l’impatto col Perù è stato abbastanza traumatico. Fatta parentesi per l’accoglienza che ho ricevuto dai miei, allora sconosciuti, famigliari che sono stati calorosi, anche se la parola calorosi non gli rende pienamente giustizia, fin dall’inizio e mi hanno amato e si sono fatti amare fin dall’inizio e la piccola Valery mi aspettava con un cartello fatto da lei col mio nome e dei cuori … fatta parentesi di questo, l’impatto è stato abbastanza traumatico. A Lima c’è la Nebbia, Sempre. Ma non è la nebbia di Milano per dire, che vien dalla pianura padana e finisce per confondersi con lo smog, no, questa E’ smog. E non pensate allo smog di Milano perché a Milano, in confronto, non c’è smog e lo dico io che vengo da un paesino in provincia di Bergamo e che a Milano non respiro. Ma a Lima, a Lima…, hai la tosse in 2 ore e dopo 3 ore davvero non respiri. C’è una leggera pioggerellina come se non bastasse che invece che lavar via lo smog sembra soltanto renderlo più umido. E' una pioggerellina fine fine di quelle che non bagnano ma danno fastidio.

- e questa è la pioggia di Lima-

Mi dice Edwin, mio cognato, il più anziano, che già conoscevo perché vive e lavora in Italia e perché mi ha portato all’altare la mia sposa e prima di esser mio parente era anche mio amico

-a Lima non piove mai, e quando piove è così, non piove mai più di così-

E' venuto a prenderci all'aeroporto insieme a qualche altro famigliare e amico. Siamo già in macchina, guida lui e guida bene, ha fatto il camionista per tanti anni qui in Perù e da 8 anni ha la patente italiana e tante altre volte mi è capitato di stare in macchina con lui e lo so che guida bene e mi fido della sua guida e non avrei nessuna ragione di preoccuparmi e invece, in un attimo, vengo assalito da un terrore ancestrale e percepisco di aver paura, come prima non ho mai avuto paura di nient’altro in vita mia, dell’autista limegno. Che già definirlo autista, al limegno, è una contraddizione in termini perché il limegno alla guida è un incosciente prepotente e pericoloso su una macchina che anche a quella poi, definirla macchina, il più delle volte, è ugualmente un azzardo. Che io, sia chiaro, sono uno di quelli che le regole, non gli sono mai piaciute, sono uno di quelli che casomai le regole, gli piace infrangerle, uno di quelli che “l’autorità” l’ha sempre sofferta, che “la divisa” non la può vedere, che tra lo sceriffo e il fuorilegge, nei film ha sempre tifato per il fuorilegge, che al vigile lo odia per partito preso e che al rosso, di sera e se non c’è nessuno, non me ne frega niente che c’è il rosso, se è sera e non c’è nessuno perché mai dovrei aspettare il verde? Io passo. Ecco, a Lima, ho provato nostalgia per le regole ho provato una DISPERATA nostalgia per le regole e compassione per i pochi vigili che ho visto. Perché la differenza, tra l’autista italiano e l’autista limegno, fondamentalmente, è una: in Italia abbiamo una cosa che si chiama “Codice della Strada” e l’autista italiano, tendenzialmente, è portato a rispettarla e quando non la rispetta lo fa consapevolmente perché è sera e non c’è in giro un cazzo di nessuno; in Perù, questa cosa del codice della strada, semplicemente, non ce l’hanno. E senza che nessuno questa cosa me l’avesse anticipata, mi sono così ritrovato nel mezzo di una strada a 3 corsie occupata, alternatamente, da 6 / 7 file di macchine che continuamente ti superano da tutti i lati contemporaneamente e ti tagliano la strada e che se devono svoltare a destra si mettono nella corsia completamente a sinistra

-quello è il palazzo di giustizia-

Mi dice Edwin. E se devono svoltare a sinistra si mettono nella corsia completamente a destra e poi si tuffano dall’altro lato con una manovra assolutamente improvvisa e imprevedibile, tagliando la strada a 6 file di macchine (che dovevano essere 3 in tutto) che inchiodano e ripartono senza che la sinfonia del disordine venga scossa senza che nessuno faccia una piega

-quello è il parlamento-

Mi sembra che mi dica Edwin indicandomi un altro palazzo mentre un altro pazzo ci ha tagliato la strada senza aver messo la freccia (e chi ce l’ha la freccia?) e senza aver guardato lo specchietto (e chi ce l’ha lo specchietto?) perché poi le macchine, e quella è la vera causa dell’incredibile inquinamento che soffre questa città, sono tutte vecchi rottami, altro che euro 3 o euro 4 altro che normative antiinquinamento o cazzo di domeniche a piedi e targhe alterne del cazzo, qua le macchine sputano tutte fuori un fumo dannatamente bianco o dannatamente nero o dannatamente grigio a seconda di quale pezzo del motore è danneggiato e al di là della puzza tremenda ma è pure un problema serio per la visuale, e tutte queste macchine hanno 20 anni, 30 anni, giuro anche 40, e mi prendesse un colpo se non è vero, alcune pure l’età di mio papà. Sì, perché vi siete mai chiesti dove vanno a finire le macchine che noi "ricchi" buttiamo via perché, ormai, ha quindici anni? Perché tanto, c'è l'incentivo per la rottamazione, e noi semplicemente crediamo che le nostre macchine le rottamano e ci fanno uno sconto sulla macchina nuova, ma non è così, adesso lo so, no non rottamano proprio niente, le nostre macchine vecchie le prendono e le vendono nei paesi poveri, quelle europee, io credo, andranno forse in Africa o forse andavano nei paesi dell'Est nelle zone povere dell'ex Russia, e in Perù invece arrivano dagli Stati Uniti, si possono vedere vecchie Cadillac, vecchie Pontiac e vecchissime Ford, macchine che erano state gloriose ai loro tempi, quelle grandissime macchine larghe e lunghe, bellissime una volta, quelle che qua in Italia se ce n'hai una così ed è tenuta bene c'hai una macchina d'epoca e sei un figo e magari l'affitti per i matrimoni e se la rivendi ci fai un sacco di soldi mentre qua in Perù queste vecchie glorie si trascinano in giro e continuano a camminare sfidando ogni legge della fisica e della meccanica e cadono a pezzi e c'hanno la vernice di diversi colori perchè quella originale si è lasciata andare e poi magari tanti anni fa era stata data un'altra mano di un altro colore che non c'entrava un cazzo che poi si è scolorita pure quella o forse è antiruggine o forse è ruggine o magari un pezzo è stato sostituito e veniva da una macchina di un altro colore e le vedi ogni tanto nei film quelle macchine lì tirate insieme in questo modo che magari è la macchina del pazzo e cattivo o magari siamo in un era postatomica o sa 'l cazzo che cosa e sono così assurde che chiaramente, pensi, che sono state tirate insieme così per la scenografia, che sono state "truccate" e invece, qui in Perù, è dannatamente normale.

-quello è lo stabilimento di D'Onofrio-

Mi dice Edwin che guida e fa la guida

-è una ditta di gelati, tra le più grandi del Perù, la più grande forse, "il gelato italiano" dicono e quando sono venuto in Italia 8 anni fa mi aspettavo di trovarlo e invece no. Come anche Don Vittorio "la pasta italiana" che quando sono venuto in Italia la prima volta tutti mi dicevano "salutami Don Vittorio" ma Don Vittorio probabilmente è peruviano e fa pasta peruviana ma ha avuto la trovata pubblicitaria di dire che era italiano così come la sua pasta perchè, si sa, che la pasta è italiana-

Ci sono quei vecchissimi furgoni della ford con il muso enorme e alto e il rimorchio in legno, ci sono quei pullman americani di quelli che guida Otto dei Simpsons quelli gialli col muso che viene in fuori bellissimi grandissimi e altri furgoni piccolissimi che si credono pullman anche loro e gli uni e gli altri si fermano continuamente per raccogliere i passeggeri ma non alle fermate, no, non ce le hanno le fermate, si fermano dove c'è gente che vuol salire che si sbraccia per far fermare il pullman, mentre sul pullman c'è l'addetto a far salire la gente sul pullman attaccato con una mano alla sbarra e con tutto il corpo di fuori che grida alla gente la zona verso la quale vanno e grida

-sube sube sube sube- che in spagnolo significa -sali sali sali sali- da non confondersi con -sali sali sali sali- che invece in italiano significa -esci esci esci esci- e quello te lo grida quando devi scendere. e quando qualcuno deve salire o scendere il pullman semplicemente si ferma in mezzo alla strada, non è che accosta e non è che, naturalmente, segnala la cosa in nessun modo alla macchina che segue, che peraltro non frena, si butta a sinistra tagliando la strada alla macchina che c'è sulla corsia in parte che farà la stessa cosa se ha un'altra corsia o inchioderà se non potrà fare altro.

Le altre macchine, quelle che non sono gli scarti dell'America del Nord, quelle più recenti, sono tutte Toyota, tutte. Il perù non ha una casa automobilistica e, per una qualche a me sconosciuta ragione, sembrerebbe che abbia adottato come sua casa nazionale la Toyota, ce ne sono tantissime, molte più di quante Fiat ci siano in Italia o di quante Mercedes e BMW ci siano in Germania.

I semafori poi sono posizionati in maniera diversa da come li abbiamo in Europa, qui in Italia sono all'incrocio, prima dell'incrocio se vuoi, vale a dire prima della strada che incrocia la strada sulla quale sei, sono esattamente in corrispondenza del punto in cui ti devi fermare; in Perù d'altro canto sono dopo l'incrocio, appena dopo la strada che incroci il che vale a dire che, se avessi guidato io, mi sarei fermato ogni volta in corrispondenza del semaforo e cioè in mezzo all'incrocio; trovando quanto meno discutibile questa cosa ne chiedo spiegazioni a Edwin, mi dice che è giusto così, che almeno hai il tempo di vederlo e lì per lì la risposta mi convince quasi, salvo poi accorgermi che i semafori, se ci fossero o meno, non farebbe alcuna differenza in quanto qui passa primo chi infila il muso per primo, con il clacson naturalmente, chè qui guidano con una mano sul volante e l'altra sul clacson e se devono cambiare marcia lasciano il volante, e ogni fottuto incrocio che attraversiamo mi cago addosso dallo spavento.

-quello è il monumento di...-

mi dice ancora Edwin mentre con un'abilità e una disinvoltura invidiabili danza nel traffico impazzito di questa antica città dei Re Magi tra buche (voragini!) dappertutto in mezzo alla strada e disordine e sporcizia ai lati della strada ai piedi di edifici stonati, ma io ormai non sento più niente, e non riesco nemmeno a godermelo questo paesaggio tanto che sono attaccato alla cintura e impietrito sul mio sedile del passeggero davanti, il posto del morto, e attentissimo alle mosse degli altri automobilisti per poter gridare, nel momento del bisogno -attento Edwin!- cosa di cui peraltro Edwin non sembra sentire la necessità.

-peccato per la pioggerellina che non ti fa vedere bene la città, ma qui a Lima è così, è tipica di qui e, comunque, non piove mai più di così, pensa che nessuno ha l'ombrello qui perchè tanto non serve-

mi dice ancora e in effetti con questa pioggerellina non sarebbero venute un granchè le foto, cosa che peraltro mi è stato proibito di fare perchè

-se ti vedono con in mano una macchina fotografica ti spaccano il vetro pure in corsa per portartela via!- mi dice sempre Edwin, cosa che non contribuisce a tranquillizzarmi e -attento!- dico io indicando l'ennesimo autista distratto contro cui io sarei andato a sbattere mentre mia moglie ride perchè probabilmente trova divertente il fatto di vedermi terrorizzato -Te l'avevo detto, quando eravamo andati a visitare Napoli, che mi ricordava Lima- mi dice lei.

Ma a Napoli, che la prima volta che ci sono andato son rimasto sconvolto dal loro modo di guidare, ora so che guidano bene, ora so che, rispetto ai limegni son tutti autisti disciplinati.

E intanto pedoni coraggiosi continuano ad attraversare la strada nei punti più pericolosi possibili cercando in tutti i modi di farsi ammazzare ma non ci riescono perchè le macchine li schivano e io salto sul mio sedile ancora e ancora e poi finalmente arriviamo a LaVictoria, quartiere di Lima dove i miei famigliari hanno una casa, e pare Far West, e sono troppo contento che siamo arrivati chè mezzora di macchina è stata più intensa di 18 ore di aereo.

E finalmente scendiamo dall'auto e piove che Dio la manda, altro che non averci l'ombrello e, a dir la verità, Lima non è che mi sia proprio piaciuta mica tanto.


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