CAPITOLO 2
L'INCONTRO CON VALENTIN
La Victoria, sapore di casa subito, intorno ho le feste di tutti, sulle spalle la fatica di un viaggio che è appena finito e di fronte l’entusiasmo di un viaggio che ancora deve cominciare, tutti parlano con me, in una lingua che non capisco ancora del tutto, rispondo in spagnolo maccheronico, improvvisando, ma mi capiscono lo stesso, facciamo le scale e tutti vogliono portare le mie valigie, arriviamo finalmente in casa e non mi accolgono come se mi accogliessero in casa loro ma mi accolgono come se mi accogliessero in casa mia. Sono spaesato, come non lo ero mai stato prima in vita mia e, contemporaneamente, sono maledettamente a mio agio. La casa è bella e pulita, sebbene da fuori non desse quell’impressione, ma dentro si sta veramente bene ed è, per la verità, pure più grande di casa mia! Dalla finestra si vedono diverse paia di vecchie scarpe da ginnastica appese ai fili della corrente che dondolano come frutti maturi che stanno per cadere ma invece sono lì da chissà quanto e non cadranno ancora per molto tempo e sembro notarle solo io. Più avanti, alla mia quantomeno legittima domanda sul perché di quella stranezza, mi daranno due possibili versioni della spiegazione: c’è chi sostiene che per le strade di questo vecchio vecchissimo lontano ovest si aggirino banditi pericolosi con la pistola per rapinare i malcapitati passanti ma che spesso, trovandosi in una città perlopiù povera, i passanti siano senza un soldo e la frase “o la borsa o la vita” pare non avere molto senso se uno la borsa non ce l’ha, ma risulta anche comprensibile che a uno che per vivere fa il borseggiatore gli girino le palle a continuare a rapinare gente senza una lira e allora, non potendo rubarti niente, il rapinatore incazzatissimo ti leva le scarpe le lega insieme coi lacci e le butta sui fili della corrente in modo che non te le puoi riprendere in nessun modo, un po per fartela pagare che gli hai fatto perder tempo, chè lui stava lavorando, un po per sfregio e un po per sfogarsi. C’è poi invece chi giura che la storia sia completamente diversa e veda protagoniste due squadre di calcetto che si sfidano a pallone per la via, scommettendo del denaro che i perdenti daranno ai vincitori; indipendentemente da come finisca la partita ci saranno sempre tutti i componenti della squadra perdente che dovranno dare il denaro scommesso ai componenti della squadra vincente e indipendentemente da quale che sia la squadra perdente, ci sarà sempre qualcuno senza un soldo in tasca che a quel punto, per regola, dovrà dare all’avversario le sue scarpe; a questo punto se l’avversario è fortunato e ha lo stesso numero di piede, si terrà le scarpe e se no, le legherà insieme pei lacci e le getterà sui fili della corrente! Quale che sia la versione reale, entrambe mi hanno fatto morir dal ridere ed entrambe mi hanno fatto venire i brividi. Ma dentro casa si sta benissimo, è un nido sicuro e confortevole e posso rilassarmi. L’accoglienza è calda, mi sento davvero in famiglia, e da subito c’è un buon feeling con tutti e mai, da parte di nessuno, sento un pizzico di freddezza o di quell’educazione di circostanza che mette a disagio e usciamo subito di nuovo, a far la spesa per il pranzo, anche se per me potrebbe essere la cena visto come sono fuso dal fuso, ed è di nuovo strada ed è di nuovo follia, e adesso è Jhovana, la sorella maggiore, la padrona di casa, che mi fa da cicerone in macchina e che non la smette di parlarmi, farmi domande, complimenti, battute e sorrisi ed è così bello essere al centro dell’attenzione, è così bello sentire la sua voce così vicina, così rassicurante e così musicale, e intanto Lima cambia continuamente paesaggio fin quando arriviamo in un centro commerciale che sembra Europa e compriamo da mangiare e da bere e torniamo a casa e le donne cucinano ed è pranzo con vino rosso preso in mio onore chè loro non sono tanto da vino e invece io , essendo italiano, sì. E poi le donne sparecchiano mentre sento che il telegiornale racconta del traffico impazzito di Lima e non mi sembra vero che la TV è d’accordo con me e non sono io il pazzo e dice che il servizio autobus selvaggio così come è concepito adesso, presto dovrà sparire e che c’è anche il progetto di fare una metropolitana a Lima che cambierà radicalmente le cose e mi sembra una cosa buona tutto sommato ma invece Edwin mi dice che domani in viaggio potremo avere dei problemi chè gli autisti degli autobus fanno sciopero per questa cosa e qui uno sciopero è una cosa seria!, e dopo che le ragazze si sono preparate siamo di nuovo fuori. Andiamo a trovare mio suocero. È arrivato il momento in cui mia moglie mi presenterà a suo padre; la mamma l’avevo già conosciuta chè era venuta in Italia al nostro matrimonio ed era stato bellissimo conoscerla, l’anno prima, che lo spagnolo lo parlavo e capivo ancora di meno di adesso e lei naturalmente non sapeva una parola d’italiano ma eravamo andati d’accordo lo stesso, credo di esserle piaciuto e lei, di sicuro, mi è piaciuta moltissimo, sorridente e solare come la sua Pampas, fotogenica e tradizionale come una cartolina, forte e caparbia e al tempo stesso delicata e fragile, con la scorza dura di chi ha partorito e cresciuto una dozzina di figli in condizioni non propriamente agevoli e coi pori che trasudano la tenerezza di chi quei figli li ama tutti e che lo stesso, ha ancora molto amore da donare, donna d’altri tempi che da una vita si alza tutti i giorni prima dell’alba e che si è dedicata sempre e solo alla casa e alla famiglia, e con un gran senso dell’umorismo oltretutto che è una delle sue caratteristiche che mi piace di più e che più mi ha permesso di trovarmi a mio agio con lei nonostante avrebbe potuto esserci quell’imbarazzo tra suocera e genero che si crea quando nel mezzo c’è un muro come può esser quello della lingua, imbarazzo che grazie a lei non c’è stato, perché mi ha permesso di essere sempre naturale con lei, sempre me stesso, mi ha sempre permesso di rivolgermi a lei senza che dovessi crearmi problemi sebbene ho sempre cercato di portarle tutto il rispetto che si merita; e adesso è il momento di conoscere il papà. Sta a Campo Fè che, mi dicono, è il cimitero più bello e grande e costoso pure, di tutto il Perù e infatti le 2 figlie che lavorano in Italia ci hanno messo 2 anni, di euro, per pagargli il posto lì. E via e siamo di nuovo in macchina tra il traffico impazzito e non mi ci abituo ancora e la gente ci ferma ai semafori e compriamo la cana pura che è canna da zucchero da ciucciare che praticamente è puro zucchero ed è buonissima, ci fermiamo a prendere fiori e coca cola chè la coca cola gli piaceva tanto a papà Valentin e va messa sulla tomba e quando arriviamo a questo cimitero mi rendo conto che non avevano esagerato nel descrivermelo: si entra in macchina da tanto è grande e le strade all’interno del cimitero hanno nomi come le vie e sono a due corsie carrabili e ci mettiamo un po ad arrivare alla zona dove sta sepolto mio suocero e quando ci arriviamo vedo che davvero, nonostante questa maledetta pioggerellina che non la smette di scendere, è bellissimo, prati sconfinati e grandi fiori colorati dappertutto e quando arriviamo alla tomba, però, ho un attimo di imbarazzo, sto per conoscere il padre della mia sposa, credo sia un momento che ti mette, se non paura, quanto meno un po di soggezione, credo che sia così un po per tutti ma non lo so per certo chè io quel momento non l ho mai vissuto, non fino ad ora, e sto per viverlo ora, mi chiedo se mi giudicherà e se sarà contento o meno della scelta della figlia e, davanti ai fiori del suo sepolcro, dico una preghiera, cosa che io non faccio mai per la verità, ma non è un eterno riposo, è un discorso di presentazione. Mi sto presentando a lui dopo avergli già sposato la figlia. È una situazione, se non difficile, quanto meno delicata. Mentre sono assorto nei miei pensieri mi accorgo che intorno a me non c’è tristezza, non c’è il silenzio che si è soliti sentire nei cimiteri italiani, non c’è odore di morte e, in poche parole, non sembra nemmeno di essere in un cimitero, sembra piuttosto di essere in un parco, in un bellissimo parco dove la domenica le famiglie si ritrovano approfittandone per salutare un parente, e non per questo è meno sacro. E così mi rilasso di nuovo. Mia moglie mi abbraccia un attimo. Forse ha capito cosa stavo facendo. Insomma è andata bene. Credo di essere piaciuto anche a papà.